Il soffitto decorato a cassettoni del piano nobile del castello si presentava originariamente come un unico ambiente, dotato di grandi finestre gotiche sulla facciata sud (ancora oggi visibili nonostante le modifiche attuate nei secoli). Il soffitto oggi visibile è composto da 138 formelle distribuite sui fianchi di 7 travi, anch'esse decorate, raffiguranti figure gentili, creature fantastiche, e stemmi gentilizi.
Il soffitto ligneo è stato riscoperto ai primi del corrente secolo, nel corso di alcuni interventi di restauro.
Nelle sale del secondo piano era infatti presente un controsoffitto in gesso ed incannicciato, posizionato nell’ottocento probabilmente per conferire maggiore isolamento termico agli ambienti. Il controsoffitto manifestava importanti lesioni, e gravava col suo peso sulla travatura. Si decise quindi di rimuoverlo. Rimosso il controsoffitto, si rivelò l’originario soffitto a cassettoni, coperto da diverse mani di bianco calce. La pratica di imbiancare a calce era diffusa nei secoli passati come rimedio per sanificare gli ambienti, in particolare in occasione delle epidemie. La peste in particolare si diffuse in Piemonte già nel 1347 ("peste nera", che ridusse di un terzo la popolazione europea), poi nel milanese nel 1576, ed infine in tutto il nord Italia nel 1630 (la peste narrata dal Manzoni ne I Promessi Sposi). Nel corso dei lavori di restauro, casualmente furono osservate alcune tracce di colore al di sotto dello strato di calce. A seguito di questo rinvenimento, intuito il pregio delle finiture nascose, la proprietà avviò un lungo lavoro di restauro, esteso anche alle travature.
Le decorazioni oggi visibili sono prive di alcune gamme di colori (il blu è quasi del tutto assente), e questo è dovuto all'effetto della calce sui pigmenti. I colori in origine erano ben più vividi; alcune tracce sono ancora visibili in una porzione di trave rimasta coperta dalla mensola di appoggio (tagliata nell'ottocento per far posto al controsoffitto in cannucce). In compenso, se non fosse stato per la pesante mano di calce, probabilmente le decorazioni sarebbero state col tempo rimaneggiate o smembrate.
Le tavolette rappresentano una figura ed uno stemma, alternati. Le figure sono rappresentazioni gentili di scene dell’epoca, animali reali, bestie immaginarie.
Tra i soggetti ritratti (cit. da “Carlo Magno va alla guerra”, Libreria Geografica 2017): […] animali reali ed esotici (cane, gallo, pavone, cammello), creature fantastiche (come il drago o la sirena bicaudata), “grilli gotici” (per esempio un essere con testa barbuta in cappucciata e terga di vitello con coda terminante a trifoglio; un volatile con testa d’uomo, una sorta di tacchino con ali blu - il tacchino non era stato ancora importato dalle Americhe - ed un felino con coda di pesce) e “drôleries” (una scimma con fuso per filare la lana), tutti tratti dalle bordure dei manoscritti miniati del trecento; poi scene di “monde à l’envers”, con figure maschili che camminano a quattro zampe, ritratti maschili e femminili (un personaggio di profilo con naso affilato e cappuccio rosso con becchetto lungo fino a terra). Ma anche: un vescovo benedicente, un uomo che pesca, uno che tira con la balestra, uno che beve da un caratteristico bicchiere di forma troncoconica con gocce in vetro applicate, un cacciatore che spezza le corna ad un cervo, un mendicante, diversi giullari, una figura femminile che si acconcia i capelli, una con falcone, un’altra che stringe un fiore nella destra, diversi suonatori di ribeca, di tromba, due amanti che si abbracciano e un vecchio che si scalda i piedi infreddoliti davanti al fuoco (allegoria del mese di Febbraio). Assenti le scene di duelli, giostre e combattimenti tra cavalieri. […] Rispetto ai soffitti di inizio Trecento il tono è colloquiale, le figure hanno occhi mobili, espressioni vivaci, dita prensili.
Gli stemmi raffigurano alcune casate dell’epoca: i conti di Angiò (gigli oro in campo blu); i Visconti di Milano (biscione ingollato); gli Scaligeri signori di Verona (scala e due cani rampanti); i conti di Savoia (croce bianca in campo rosso); i conti del Tirolo (aquila rossa in campo bianco). Famiglie dunque di rilevanza “internazionale”, a fianco dei quali troviamo stemmi di famiglie piemontesi ed in particolar modo chieresi (varianti con bande bianche e nere).
Proprio lo studio degli stemmi e delle varianti che nei tempi sono stati a questi apportati ha consentito di datare con una elevata precisione il periodo storico nel quale sono state dipinte queste tavolette. Lo studio, recentemente concluso dalla ricercatrice Luisa Gentile, data le tavolette alla metà del ‘300 (presumibilmente nel decennio 1350-1360). Questa datazione, ed il pregio esecutivo delle tavolette, rende il soffitto decorato del castello di Pavarolo una delle testimonianze artistiche più antiche del territorio piemontese, ed un unicum nel panorama nazionale.
Le sale ottocentesche
Gli ambienti del piano terra e del primo piano sono riccamente decorati in stile neogotico, secondo il gusto ottocentesco. Di particolare effetto la sala di ingresso principale, decorata con fregi e motti in stile araldico anglosassone.
La fortezza
L'austera facciata volta a sud presenta ancora tracce dei fregi e delle finestre medievali ad arco gotico. Sullo spigolo Ovest è visibile il basamento della torre d'angolo, la bertesca. La torre quadra è stata aggiunta successivamente, per consentire il collegamento tra i piani del castello. In ultimo furono aggiunte le scuderie, predisposte per ospitare sei cavalli. Il castello è dotato di una grande cisterna per la raccolta dell'acqua piovana (tutt'ora funzionante ed utilizzata per l'irrigazione del giardino), di una ghiacciaia ipogea, e di un profondo pozzo interno, in grado di assicurare una certa autonomia anche in condizioni di assedio.
Il Parco delle Rose e delle Peonie
Il vasto parco ospita una varietà mirabile di fioriture. Di particolare effetto i roseti e le peonie nella stagione primaverile.